Slitta al 1° gennaio 2025 l’inserimento della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Ad aprile la Conferenza Stato-Regioni aveva dato via libera al decreto del Ministero della Salute, stilato di concerto con il MEF (Ministero delle Finanze), sulle tariffe dei nuovi LEA in attuazione del Dpcm 12 gennaio 2017 e la previsione era l’inserimento delle tecniche di fecondazione in vitro a partire dal 1°aprile 20241.
Si deve attendere ancora, dunque, affinché alcune Regioni possano garantire le prestazioni legate alla Fertilità. E non solo quelle: ricordiamo che i nuovi Lea, oltre alla PMA comprendevano anche oltre 3mila prestazioni di specialistica ambulatoriale e di assistenza protesica. Mancherebbero, tuttavia, 379,2 milioni finanziati dal decreto Lea del 2017 con cui il SSN avrebbe dovuto coprire le spese, alle quali vanno aggiunti i 21,9 milioni per le protesi ai disabili. Inoltre, all’attuazione del nuovo tariffario sarebbe dovuta entrate parallelamente in vigore una riduzione di costo di alcuni esami diagnosti. Quest’ultima in effetti c’è: il nuovo tariffario disegnato nel 2023 riduce dal 30 all’80% i prezzi.
La proroga, si legge nel testo rilasciato dalle Regioni, si è resa necessaria “a fronte dell’espressa richiesta di prorogare l’entrata in vigore delle tariffe di assistenza specialistica ambulatoriale e di assistenza protesica al 1° gennaio 2025 e della correlata disponibilità delle restanti Regioni al riguardo”. L’obiettivo sarà quindi quello “di valutare una più ampia revisione delle medesime tariffe, assicurando nel contempo una graduale transizione al nuovo tariffario”1.
Ma non si tratta solo di numeri e matematica; le giunte regionali hanno segnalato una serie di criticità: le aziende sanitarie dovrebbero adeguare i codici, rivisti, delle prestazioni in tariffario: un processo informatico che richiede tempo.
Le Regioni che non raggiungono lo standard sono 14. Sono al di sotto dei mille cicli molte regioni del sud/isole (Marche, Umbria, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna, Liguria); e non raggiungono i 1.500: Veneto, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia e PA Trento. Oltre lo standard (1.500 per milione di abitanti), Valle d’Aosta PA Bolzano (3.380), Toscana, Lombardia, Lazio, Campania2.
Secondo la stima della società scientifica europea di riferimento, ESHRE, il fabbisogno di cicli è stimabile in almeno 1.500 per milione di abitanti. Stando a questo parametro, se guardiamo alla media Italia 2021, l’offerta risulterebbe adeguata perché pari a 1.529 cicli per milione di abitanti, ma il problema resta l’omogeneità.
“Un rinvio che pesa particolarmente nell’ambito della medicina della riproduzione” ha commentato il professor Luca Mencaglia, Presidente Fondazione PMA “in cui il fattore tempo gioca un ruolo fondamentale sulla probabilità di successo dei trattamenti, soprattutto per quelle coppie che si avvicinano a questi percorsi già in età avanzata”.
Il prevedibile aumento di domanda da parte delle coppie, se non accompagnato da un adeguamento della risposta nei diversi territori regionali, potrebbe portare a barriere nell’accesso dovute ad un aumento delle liste d’attesa e/o della mobilità, con disparità legate a residenza, fattori socioeconomici, eccetera. È importante sottolineare che l’adeguamento dell’offerta non si basa sulla sola numerosità dei centri, ma anche sul dimensionamento del personale e sull’adeguamento delle dotazioni strumentali2. Ricordiamo che con l’attuazione del decreto, l’età massima per accedere alla PMA viene uniformata a 46 anni in tutto il Paese e il numero di tentavi fissato a sei.